Io, una volta, quando ero piccola, mi sono innamorata. Sapeva di pane e pomodoro quell’amore.

Mi chiamo Giulia, ho dieci anni e sono stata già innamorata.

È successo l’anno scorso quando avevo nove anni.

È stato facile.

Un giorno, avevo finito i compiti presto e la mamma mi ha mandato in cortile a giocare un po’, perché lei stava facendo le ripetizioni di latino a uno troppo stupido, con gli occhiali e l’apparecchio ai denti, che abita nel nostro stesso palazzo e che: non mi saluta mai, non mi aspetta quando prende l’ascensore e non mi tiene mai il portone aperto anzi lo fa apposta a chiuderlo.

Fortunatamente, non mi sono innamorata di lui perché è troppo scemo.

E anche troppo grasso e anche se mi aspettasse, io l’ascensore con lui non potrei prenderlo perché non ci entrerei, da quanto è grasso.

Mi sono innamorata di Ernesto.

Così.

I compiti, a quell’ora, li avevo finiti solo io e, siccome faceva troppo caldo e mi sudava la frangetta e mi sudava pure dietro al collo, mi ero messa a sedere, all’ombra, sul murettino basso dell’aiuola, che era come stare seduta per terra, tanto la mamma da lì non mi poteva vedere e, comunque, questa cosa non si fa perché devo sempre stare dove lei mi può vedere.

Poi, mi è venuta voglia di ascoltare una musica piccola e mi sono messa a cantarmi una cosa da sola ché tanto non c’era nessuno e non mi vergognavo perché, in genere, davanti agli altri non le faccio mai queste cose perché mi diventano caldissime le guance ed è una cosa che non mi piace.

In genere, non mi piace molto quando gli altri mi guardano.

Mi sembra, sempre, di avere le caccole in faccia o una scimmia in testa.

Quello che odio di più, in assoluto, è mio zio Luigi che mi guarda e dice che sono una nana-pelosa-pulce-bavosa e il dottore che mi osserva in silenzio e mi rompe sempre le scatole quando mi visita la gola, io poi vomito sul suo camice perché mi schiacchia la lingua con il suo cucchiaio di metallo. Ma non è colpa mia, provate voi a non vomitare quando qualcuno vi schiaccia la lingua con un cucchiaio di metallo.

Io mi canto le cose, non solo canzoni vere, anche inventate. Me le invento proprio io ma solo quando nessuno mi può sentire, come vi ho detto.

Però, quel giorno,io pensavo di essere sola nel cortile ma non ero, in effetti, proprio sola sola.

– Mi piace questa canzone – mi ha raggiunto una voce – ti dispiace se ballo?

Era Ernesto, anche se ancora non me l’aveva detto che era Ernesto, e si era messo a ballare, anche se io avevo smesso di cantare perché, ve l’ho già detto, uffa, mi vergogno quando c’è qualcun altro.

Ma lui ormai ballava, anche senza di me.

Poi, io ho ricominciato a cantare e non mi vergognavo più e, alla fine del pomeriggio, dopo che mi aveva detto che lui era Ernesto, avevamo deciso che dovevamo fare uno spettacolo tutto nostro perché eravamo davvero bravi e tutti lo dovevano sapere e non ci saremmo mai più vergognati.

Al massimo, si dovevano vergognare gli altri che non avevano il coraggio di cantare e di ballare.

E poi, mi aveva detto Ernesto, che noi avevamo una responsabilità che, credevo, fosse una cosa uguale a quella che dice mia madre a mio fratello quando lei esce e gli dice che lui è il mio responsabile.

Mi ero spaventata perché mio fratello, quando è mio responsabile, mi obbliga a prendergli da mangiare e da bere perché sta fisso, immobile in poltrona e non mi fa mai guardare neanche una sola cosa che mi piace.

Ma Ernesto mi aveva spiegato che mio fratello non aveva capito il significato della parola e che significava, in realtà, volere bene alle altre persone e cercare di farle stare bene, facendogli anche dei regali, come nel nostro caso.

Infatti, per tutto il periodo delle prove, Ernesto mi faceva sempre un sacco di regali e poi ho imparato a fargliene anche io.

Lui un giorno mi ha regalato un libro che aveva già letto e anche sottolineato e mi aveva scritto sulla prima pagina: “Alla mia migliore amica del cuore, Giulia”.

E, io che già lo amavo di nascosto, quando lui non se ne accorgeva e mi veniva da sorridere e da prendergli la mano, avevo pensato: “Ora, mi sento proprio più innamorata di prima”.

E ho pensato che dovevo chiedere alla mamma come fare.

La mamma mi aveva ascoltato molto seria, silenziosa e pensierosa al punto che pensavo che si stesse facendo i fatti suoi, poi, mi ha detto: “caramellina mia, invitalo a merenda: vi preparo il pane e pomodoro”!

Il pane e pomodoro è la cosa che più mi piace mangiare al mondo, meglio del gelato, meglio della focaccia e del tonno direttamente dalla scatoletta (ma questo lo posso fare solo quando sono da sola con il nonno)!

Ed Ernesto è venuto a fare merenda a casa mia.

La mamma aveva preparato un vassoio enorme: fette di pane giganti, morbide come cuscini e fresche come la casa della nonna, pomodori che sembravano le guance di Biancaneve, l’olio, il sale e il basilico che, però, a me piace solo l’odore e lo scanso sempre.

Invece, Ernesto lo prendeva dal mio piatto e lo mangiava.

Che ridere con tutto l’olio che ci colava sul mento e sulle mani e la mamma che non si arrabbiava!

Da quel giorno, Ernesto è venuto spesso a casa mia anche senza fare merenda, solo a giocare.

Ernesto voleva sempre giocare con le mie bambole e la mamma era contenta quando arrivava a casa perché cominciava a mettere tutto in ordine e a pulire con lo straccetto che si porta sempre nella tasca della salopette.

Ernesto è un bambino molto pulito.

Prima di toccare le bambole ci lavavamo sempre la mani per bene.

Una volta Ernesto ha portato un sapone in una boccetta di vetro, rosa e profumato che sembrava gelato e io l’ho assaggiato un poco con la punta della lingua ma era amarissimo.

Non ho mai più assaggiato un sapone, da quel giorno.

Mi innamoravo ancora di più di Ernesto perché non tagliava i capelli alle mie bambole, come invece fa sempre mio fratello, che detto tra noi è amico di quello delle ripetizioni e una volta, dopo il taglio dei capelli, io ho pianto per due giorni e non volevo più mangiare e poi Ernesto mi ha portato le 10 figurine degli animali che mi mancavano per finire l’album e mi è venuta di nuovo fame.

Però, alle bambole i capelli non sono ricresciuti.

Poi, un giorno, Ernesto è venuto a casa, ma non per me.

Lo stava aspettando mio fratello.

E sono andati via, senza chiedermi se volevo andare anche io con loro.

Li ho guardati dal balcone giocare con le macchinine.

Ho buttato tutte le mie bambole calve nella spazzatura perché tanto senza Ernesto non mi piacevano più.

E poi mi sono detta che non mi sarei innamorata mai più.

Fino a stamattina.

Perché stamattina mi sono innamorata per la seconda volta in vita mia.

Si chiama Riccardo e ha la erre moscia.

Informazioni su Simona Toma

Bella di padella, paroxetina lover, ho un'opinione su tutto e, tendenzialmente, mi basto da sola. E, comunque, rimango sempre un'esilarante storia d'amore e cinema.
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4 risposte a Io, una volta, quando ero piccola, mi sono innamorata. Sapeva di pane e pomodoro quell’amore.

  1. miononnoincarriola ha detto:

    The importance of being Ernest.

  2. Zia Cin ha detto:

    Il bello di questa storia che il fidanzato preferisce l’amico a te (se hai un fratello anche meglio) è che poi, quando diventi adulto, succede lo stesso.

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